O come osservare

O come osservare
Negli affreschi bizantini, quel raffinatissimo impero romano d’oriente che sopravvivrà fino al IV secolo, l’antinaturalismo e la stilizzazione dell’immagine erano figli di un percorso filosofico che portò a creare immagini che, nella loro ultraterrena immobilità, dovevano ispirare devozione in chi le guardava.
Un’idea di rappresentazione che si sarebbe poi trasferita prima nella cultura ortodossa e poi, grazie ad Andy Wharol, nella pop art e nel mondo contemporaneo.
Un uomo Wharol che, non a caso, era capace di unire influenze culturali e umane apparentemente lontane tra loro giacchè, uno dei padri nobili della cultura popolare statunitense era, all’anagrafe, Ondrej Warhola. Figlio di emigranti lemchi di culto uniate.
Ebbene, rifacendo un passo indietro, una caratteristica pregnante delle figure bizantine è la fissità dello sguardo. Le pupille sono ferme esattamente al centro dell’occhio: uno stratagemma che fa sì che le figure seguano costantemente l’osservatore con il loro sguardo.
Una sensazione questa che, a più riprese nell’arco della giornata, ogni genitore prova. Giacché ci sono momenti in cui il bambino, per l’occasione silenziosissimo, osserva il proprio genitore combinando concentrazione a fissità estatica anche per interi minuti.
Lo sguardo del bambino infatti, nei suoi momenti di studio dell’ambiente circostante, è intensissimo. È il lavoro di chi sta raccogliendo informazioni assolutamente vitali e, attraverso i suoi occhi, sta ricostruendo la realtà frammento per frammento.
Nella genitorialità c’è questa dissonante sensazione di riscoperta dei posti e delle cose che fino a un secondo prima erano totalmente familiari e scontate. Il figlio reinsegna al genitore la realtà frammento per frammento.
Un viaggio in cui tocca tornare agli elementi più semplici del nostro mondo: colori, suoni, forme e molte altre cose che abbiamo mandato a memoria e dimenticato.
Un percorso difficilissimo, che ci mette nelle condizioni di spremere tutte le nostre conoscenze passate per conformarle alla nuova realtà che stiamo vivendo; in modo da poter riportare il nostro sapere di adulto al bambino che abbiamo di fronte nell’unico modo possibile: riducendole alla sua scala.
Un modo questo di rapportarsi alla realtà che permea le vite dei viaggiatori e, ancora più profondamente, quelle dell’emigrante che lascia la propria terra e le proprie origini per emigrare in un posto nuovo in cui tutto è da scoprire e conformare alle proprie esperienze passate.
Un grande artista diceva “La vita è un grande spettacolo: basta avere occhi per osservare”; e coi suoi figli aggiungeva: “Non squadrate la gente, ma osservatela.» […] Osservare gli altri serve a migliorare i rapporti umani”.
Quell’artista era il mimo e regista Jacques Tati. Padre nobile della cultura popolare francese del Novecento il cui nome, non a caso, all’anagrafe era Jacques Tatischeff.





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