R come Responsabilità

Nella vita di un genitore ci sono dei momenti di assoluta solitudine.
Possono avvenire in una condizione di solitudine letterale, magari nel cuore della notte e con accanto partner non addormentato ma svenuto per la fatica, come in pieno giorno al centro di una moltitudine di persone.
Sono quei momenti in cui non sapete più cosa fare, come gestire questa o quell’altra evenienza o emergenza; anche la più banale. Con la consapevolezza che nella vita di un genitore, totalmente responsabile del benessere del proprio figlio, la resa non è una opzione accettabile.
Ma come affrontare tutto questo senza impazzire?
Nei posti di mare si sa, c’è gente molto diversa da quella della terraferma. Questa gente i bambini li acchiappa e, non appena il clima lo permette, li “getta a mare”.
Chi ha assistito a questo piccolo rito spesso si stupisce della serenità e della naturalezza con cui il neonato, nove volte su dieci, torna, dopo un brevissimo momento di smarrimento, al suo elemento originario.
I genitori così facendo assicurano al figlio di imparare a nuotare con la stessa naturalezza con cui impara a camminare, a parlare o a mangiare. Qualcosa che diventerà, col passare degli anni, una necessità e un piacere.
Ed è anche il motivo per cui gli abitanti di una città di mare si riempiranno sempre di stupore e malcelato disprezzo tanto di fronte a chi non sa nuotare per nulla quanto di fronte ai fessi che arrivano al mare vero con una tecnica di nuoto pazzesca e poi, fuori dalla piscina e lontano dal loro allenatore, pigliano la corrente sbagliata e vengono recuperati col pedalò a noleggio da qualche astante sessantacinquenne con granita al limone mezzo sciolta e mozzicone di sigaretta al lato della bocca. Che naturalmente non mancherà di comparire da ogni singolo angolo per prenderli per il culo durante tutto il resto della vacanza.
Ecco, il genitore nei momenti di solitudine è in questa situazione qui, in mezzo al mare a rischio correnti. Si rischia di imbacuccare il bambino e portarlo al pronto soccorso pediatrico per ritrovarsi, dopo quattro ore di attesa pericolosa e disperata, di fronte a un medico sessantacinquenne con sigaretta e granita che riconoscerà immediatamente un arrossamento da pannolino o qualche colichetta.
Essere responsabili, l’avrete capito, è come nuotare: qualcosa di estremamente naturale ma solo se appreso e coltivato sin dalla più tenera età.
Se nella vita sei stato responsabilizzato sin da bambino, se hai riordinato i giocattoli, hai apparecchiato, hai avuto le chiavi di casa, sei stato capace di impegnarti in cose che si sono fatte via via più enormi, dalla scuola al lavoro, dallo sport al tempo libero, fino alla cura delle parentele, delle amicizie e delle relazioni sentimentali; ritrovarsi a mettere al mondo e gestire una intera vita sarà il punto, per quanto vertiginosamente alto, di un percorso naturale.
Se non siete stati messi nelle condizioni di fare tutto questo, se non avete fatto alcun percorso e siete cresciuti con l’annosa certezza che tutto vi sia dovuto giacché siete il centro dell’universo, ritrovarsi a gestire qualcosa di enorme come un figlio sarà un continuo e disperante incubo.
Fortunatamente non è mai troppo tardi per intraprendere un percorso di crescita e di miglioramento.
Un percorso senza il quale fare figli sarebbe salutare come passare dalla piscinetta gonfiabile in cortile a una tempesta nel cuore dell’oceano Atlantico.
Inoltre da genitori avrete la possibilità di evitare quegli errori che i vostri genitori hanno fatto con voi.
E magari riscoprire e apprezzare quanto di buono hanno fatto, nel corso degli anni, per voi.
Una grande responsabilità giacché, dal compimento dei venticinque anni in poi, i genitori diventano un pessimo alibi.
E questo spiega perché gli psicologi, per ascoltare gente che si lamenta dei propri genitori, prendono dagli ottanta euro all’ora in su. Iva esclusa.





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